ETICHETTATURA
Luci e ombre della nuova legislazione
La
bottiglietta è in vendita nei drugstores americani. Dentro: acqua di
vegetazione delle olive, residuo della lavorazione dopo l'estrazione dell'olio.
Negli States, quest'acqua è considerata un toccasana per la ricca
concentrazione di composti fenolici, sostanze idrosolubili che si trovano nelle
olive e, dopo la loro trasformazione, nell'olio extravergine e nell'acqua di
scarto. Gli americani, che sui vanti salutistici degli alimenti hanno costruito
un'industria (i cibi vitaminizzati fanno fatturati da diversi milioni di
dollari) non si sono certo lasciati sfuggire anche questa piccola opportunità. Noi, che
sull'oro giallo siamo seduti, non riusciamo in alcun modo a valorizzare nemmeno
la naturalità e la genuinità di un prodotto come l'extravergine.
E Dio ci guardi
dal saper esaltare il possibile ruolo di prevenzione in alcune malattie come
quelle cardiovascolari e il cancro grazie alla presenza di antiossidanti (sostanze fenoliche) scientificamente accertato. Insomma, un farmaco naturale che
siamo ben lontani dal saper riconoscere.
Anzi!
Ci è fatto per esempio divieto e per alcuni versi anche a ragione da parte
della Comunità Europea di vantare in etichetta qualsiasi merito di questo tipo.
Ironia della sorte, persino le acque reflue dei frantoi oleari, ricche di
composti fenolici e rivelatesi preziose nella concimazione del suolo (secondo
uno studio dell'Istituto di elaiotecnica di Pescara i vigneti abruzzesi trattati
con 50 litri d'acqua per
metro
quadrato hanno ottenuto un incremento del 25 per cento di uva) c'é chi vorrebbe
considerarle unicamente inquinanti.
In
sede UE, come ha denunciato Luigi Caricato, giornalista e tra i maggiori esperti
del settore, si starebbe per tornare a una norma che prevede di sottoporre a
depurazione obbligatoria queste acque prima di autorizzarne l'utilizzazione
agronomica. Ma alla naturalità e alla genuinità del vergine si attenta anche
per altra via. Basti pensare che due sono le caratteristiche fondamentali che
differenziano il vergine dagli altri oli vegetali: il fatto di essere ottenuto
da un frutto sano e di essere estratto con mezzi esclusivamente meccanici.
Queste due proprietà, unita mente alla norma che impedisce l'aggiunta di
qualsiasi additivo tranne l'acqua usata come coadiuvante nella fase di
estrazione, fa di questo prodotto un alimento naturale che conserva
perfettamente integro il suo patrimonio originario sia organolettico che
nutrizionale.
Bene,
fra le tante beffe che affiorano nell'immensa legislazione che riguarda il
settore, il comma 7 del regolamento n° 1513 del 23 luglio 2001, di fatto mette
in discussione questi principi autorizzando l'uso di coadiuvanti fisici
nell'estrazione dell'olio, che non sarebbe quindi prodotto esclusivamente
attraverso il processo di frangitura e di gramolatura. Proprio nella fase di
gramolatura per favorire la fuorisucita dell'olio dalla pasta e aumentare quindi
la resa in olio, sarebbe ora consentito usare per esempio il talco. Con il quale
potrebbero a questo punto entrare
nell'olio
anche quei metalli pesanti contenuti nel talco. Ma tra i tanti regali fatti
dalla Commissione europea ai "manipolatori di alimenti", come ha
denunciato anche l'Unione nazionale dei consumatori, vi è, implicitamente, il
via libera alla deodorazione. Secondo la classificazione vigente,una serie di
oli che non avrebbero mai superato l'esame organolettico per accedere alla
classificazione di extravergine,hanno tuttavia ampie chances di raggiungerla
grazie alla deodorazione. Esistono infatti degli interventi correttivi, co me il
passaggio attraverso corrente di vapore, che permettono di camuffare alcuni
difetti. In base dunque al nuovo regolamento sugli oli d'oliva basterà un
semplice getto di vapore ad alta temperatura per togliere all'olio odori non
gradevoli proveniente ad esempio dall'utilizzo di olive scadenti.
Il
colpo di mano è avvenuto eliminando semplicemente le parole "segnata mente
termiche" tra le condizioni vietate nei processi meccanici di estrazione
dell'olio, legalizzando in pratica la "toilettatura" che permette di
riciclare un olio scadente. Che, una volta miscelato con un extravergine di
qualità, non sarà più rilevabile alle analisi sensoriali e a quelle chimico
fisiche: "È uno dei problemi analiticamente irrisolvibili", dice
Gianfranco De Felici, chimico dell'agenzia delle dogane ed esperto nel settore
degli oli. In compenso, il regolamento n° 1513/2001 che entrerà in vigore il 1°
novembre 2003 ha dato un contentino ai consumatori abbassando dall'1 allo 0,8
per cento l'acidità
massima
dell'olio.
Un contentino impossibile da negare, dal momento che i progressi
compiuti dai produttori e dai frantoi hanno a tal punto migliorato gli oli della
categoria extravergine, che sarebbe stato ridicolo non ridurre l'acidità
massima. In questo stesso regolamento è contenuta un'altra novità di rilievo a
tutela del consumatore, in parte suggerita dalle esperienze sulle adulterazione
degli oli. Si è scoperto infatti che la sansa (prodotto di scarto della
lavorazione), anziché essere smaltita, viene rimescolata alle olive e
riestratta. L'olio ottenuto con questo secondo passaggio ha caratteristiche
abbastanza simili a quelle del vergine pur essendo il risultato della
lavorazione dei residui. Infatti, mescolandolo con partite di olio extravergine,
è facilmente etichettabile come tale. Il regolamento sancisce dunque che sotto
la voce oli di sansa greggi non vadano classificati solo gli oli di sansa ma
anche tutte quelle categorie di oli ottenuti anche con processi fisici ma che
hanno le caratteristi che di un olio di sansa.
E sempre in fatto di novità va senz'altro registrata quella contenuta nel
regolamento 2152/2001 (che è andato sostituire il per noi penalizzante
2815 del 98) che, all'articolo 3, paragrafo 2, accoglie finalmente la richiesta
del made in Italy. La designazione dell'origine dovrà corrispondere alla zona
geografica nella quale le olive sono state raccolte e dove l'olio estratto da
queste olive è stato ottenuto. Se le olive sono state raccolte in uno Stato
membro o in un paese terzo diverso dalla zona geografica dove è stato ottenuto
l'olio estratto da queste olive, la designazione dell'origine indicherà sia la
zona di raccolta che quella di lavorazione dell'olio.
Un
bel passo avanti se si pensa alle battaglie combattute per dare visibilità
all'olio italiano. La guerra dell'olio è scoppiata nel 1998, quando lo stato
italiano ha emanato un decreto (il 313 del 3/9) per l'etichettatura dell'olio
extravergine di oliva, dell'olio d'oliva vergine e dell'olio d'oliva e dove
poteva essere riportata la dicitura "prodotto in Italia" a patto che
l'intero ciclo produttivo, dalla raccolta alla trasformazione, fosse
effettivamente realizzata sul territorio nazionale. Pochi mesi dopo
l'approvazione della legge, la Commissione europea avviò una procedura
d'infrazione contro l'Italia e approvò il regolamento comunitario (2815 del 98)
che individuava nel luogo di molitura delle olive l'origine dell'olio d'oliva
extravergine e vergine.
Nel
marzo 1999 l'Italia ha presentato un ricorso dinnanzi alla Corte di Giustizia
delle Comunità europee, che lo ha respinto.
A maggio 2001 il Parlamento europeo
ha affermato che con la scadenza del regolamento la Commissione si doveva
impegnare a stabilire il luogo di origine e di produzione delle olive. Lo scorso
giugno, infine, il Consiglio dei Ministri Agricoli dell'Unione europea ha
raggiunto un accordo, da formalizzare al Comitato di gestione, che prevede che
sull'etichetta venga riportata chiaramente l'origine del prodotto e il luogo di
spremitura delle olive quando si tratta di due Paesi diversi. Il Comitato di
gestione ha poi approvato il progetto di regolamento. Si è in pratica ottenuta
la possibilità di scrivere in etichetta "olio di oliva extravergine
italiano" indicando "l'origine delle olive e il luogo della
trasformazione", una possibilità prima assolutamente negata e oggi resa
quantomeno facoltativa.
Resta
da capire, come ha osservato un gruppo di relatori nell'ambito del Consiglio
Europeo, chi certifichi l'origine delle olive. Inoltre, altra perplessità,
l'indicazione da riportare in etichetta riguardo all'acidità che non è di per
sé un indice di totale qualità, così come non dovrebbero essere riportate in
etichetta diciture del tipo "olio di prima spremitura" o "olio
spremuto a freddo" perché non supportate da nessuna normativa. Senza
contare il fatto che tutti gli extravergini devono essere esclusivamente di
prima spremitura così come tutti gli extravergini sono per legge "spremuti
a
freddo".
Parametri che per un extra dovrebbero perciò essere extrascontati. Allo stesso
modo, non sono forse troppo di fantasia nomi del tipo Novello, Classico, ecc:
che cosa c'entrano con l'olio? E siamo sicuri che non violino le norme
(articolo 2
del decreto legislativo 109 del 27/1/92) che regolano l'etichettatura e la
pubblicità dell'olio di oliva?
FONTE: Gamberorosso, Anno 11,
N°121, pag. 58-62.
V'è
poi il Regolamento Comunitario 1019/2002 a cui rimandiamo tramite il link qui
sotto.
Regolamenti comunitari in vigore
Homepage
Pagina Principale
|