In
questi ultimi decenni scienza e tecnica si sono evolute ad un ritmo
senza pari. I processi chimico-fisici dell’industria di trasformazione sono
enormemente migliorati, la produttività in campo agricolo è notevolmente
incrementata, sono state scoperte le memorie logiche e
una rete mondiale di comunicazione…….
A nostro avviso, e crediamo non solo nostro, gli effetti del repentino progresso
a cui stiamo assistendo purtroppo non finiscono qui:
-Le
scorie industriali insieme a diserbanti, pesticidi, concimi chimici e alla folle
corsa al consumismo hanno inquinato gran parte del suolo e delle acque.
Chi
è cresciuto in un’azienda agraria, piccola o grande che sia, si è sicuramente
accorto che nei piccoli corsi d’acqua la vita è quasi scomparsa. Una volta
popolati da crostacei, anguille e piccoli pesci ora sono deserti dove
sopravvivono in molti casi solo le rane.
Concimi
chimici, diserbanti e pesticidi dopo anni e anni di trattamenti si sono
accumulati nel suolo nelle acque e nelle derrate alimentari.
La
domanda è: “quando la concentrazione di queste sostanze nelle derrate sarà
tale da superare i livelli di guardia che cosa faremo?”
Non
conosciamo la risposta ma possiamo anticiparvi che il rimedio non sarà
semplice, sempre che ci sarà rimedio. I nemici naturali dei patogeni vegetali
sono anch’essi organismi e sono in genere molto più sensibili ai veleni dei
patogeni stessi, quindi, non si potrà riammettere in natura i primi perché non
sopporterebbero le alte dosi di veleni presenti nel terreno.
E
allora?
Potremmo
modificare geneticamente questi organismi superiori in modo da renderli
resistenti ai veleni così da tenere perlomeno sotto controllo i patogeni.
Ma
l’immissione in natura di nuovo materiale genetico che tra l’altro potrà
essere influenzato in senso mutagenico da alcuni di questi veleni (pesticidi,
erbicidi……), sarà al di sopra di ogni ragionevole dubbio innocua?
In
parole povere crediamo che nessuno al mondo ci metterebbe le mani sul fuoco.
Non
converrebbe già da ora destinare risorse alla ricerca scientifica
agroalimentare per non raggiungere i cosiddetti LIVELLI
CRITICI D’INQUINAMENTO.
Non
converrebbe imporre alle multinazionali un minor guadagno e un maggior rispetto
per il consumatore e l’ecosistema?
Credo
che perfino ai manager d’azienda sia caro il futuro e la qualità della vita
dei propri discendenti. Ma questo basterà a fargli cambiare idea?
La
nostra riflessione si è tradotta in quello che pensiamo essere un addotto
logico, e cioè:
-se
i prodotti che usiamo in agricoltura (in particolare diserbanti, pesticidi,
derivati di concimi chimici….), si accumulano nel terreno e si riversano nelle acque, significa
anche che sono presenti nelle colture e quindi nel raccolto. In definitiva finiscono negli
animali che se ne cibano direttamente o indirettamente e quindi nell’uomo.
Passo
successivo è stato di iniziare a produrre secondo il modello dell’agricoltura
biologica. Dopo aver richiesto il controllo della filiera di produzione
ad un organo riconosciuto giuridicamente dalle leggi comunitarie in vigore (nel
nostro caso l'istituto di certificazione etica e ambientale, ICEA ), siamo entrati come previsto dal Reg. CEE 2092/91 e
Reg. CEE 2078/92 in regime di controllo comunitario. Questi regolamenti, emanati
dalla Comunità Europea, permettono di identificare le Aziende Biologiche
attraverso il controllo del loro operato in modo che vengano adoperati solo
concimi naturali e non chimici, ma e soprattutto che non vengano usati pesticidi,
diserbanti o altre sostanze ritenute potenzialmente pericolose per gli organismi viventi
(incluso l’uomo). Questi regolamenti prevedono altresì che per i primi tre
anni di produzione l’azienda sia denominata IN CONVERSIONE BIOLOGICA, dicitura
che deve essere riportata nelle etichette del prodotto. Dopo il periodo di
conversione, in osservanza delle norme di cui al regolamento stesso l’azienda può dirsi
effettivamente BIOLOGICA ai sensi normativi.
Dopo
quarant’anni di esperienza nel settore olivicolo e 17 anni nel settore biologico
ci sentiamo di affermare:
-
È sostenibile produrre alimenti biologici a patto di accettare la
concomitante piccola diminuzione di produttività per ettaro. Nel nostro caso
specifico, l’oliveto ha diminuito la produzione di circa il 10%.
-
Gli oliveti biologici sono più sensibili alle patologie della pianta e
quindi va posta una particolare cura nella prevenzione.
-
Tutto questo
costa in termini di tempo e di denaro, per cui, ai costi di una produzione di
qualità si aggiungono quelli del mantenimento biologico del fondo.
A
nostro avviso, il consumatore dovrebbe quantomeno capire che i prezzi di un
prodotto di qualità sono un pò più alti, ma
un prodotto di qualità che includa la trasparenza delle caratteristiche e della
filiera di produzione:
"ASSICURA
E TUTELA IL CONSUMATORE".
In
altri termini, lo rende informato e conscio sugli alimenti che acquista, lo
rende cittadino e non un oggetto da manipolare da chi individua nel GUADAGNO il
bene supremo, l’obiettivo da raggiungere a “qualsiasi” costo.
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